Don Andrea Giorgetta: la fibrosi cistica e il suo ministero pieno di entusiasmo

Oggi è venuto a trovarmi nella stanza degli amici un giovanissimo sacerdote, Don Andrea Giorgetta, ordinato sacerdote lo scorso 8 giugno del 2019 nel Duomo di Como. La sua è davvero una storia molto bella.

 

“Predicate sempre il Vangelo e se fosse necessario anche con le parole” era la frase che san Francesco rivolgeva ai suoi frati e che don Andrea ha scelto per la sua ordinazione. « È una frase che mi piace molto – spiega – perché parla di una testimonianza diretta, visibile nei fatti. Mi piacerebbe nel mio ministero riuscire a parlare prima con i fatti, con i gesti e con lo sguardo, poi eventualmente, se fosse necessario, con le parole. È una indicazione – precisa – ma anche un augurio che faccio a me stesso, un punto fermo del mio essere uomo e del mio essere prete ». Il giovane sacerdote che ho incontrato nei giorni scorsi a Roma è uno di quei preti che svolgono il ministero convivendo con la malattia o come nel mio caso con la disabilità. È ci siamo ritrovati alla presentazione di un libro edito dalla Libreria Editrice Vaticana e scritto da Vittore De Carli, che parla appunto di noi: “Come seme che germoglia. Sacerdoti nella malattia” con la prefazione del Card. Angelo Comastri.

Fibrosi cistica. Una malattia genetica grave, subdola perché spesso nascosta, che colpisce maggiormente bronchi e polmoni, che ti limita molto, una malattia che si può curare, ma a oggi non guarire completamente. Don Andrea Giorgetta, giovane sacerdote di Chiavenna, diocesi di Como, l’ha scoperta quando aveva vent’anni. Fino ad allora la sua tosse, il suo respiro a volte affannoso erano stati attribuiti a una forma allergica e per questo curati con diversi farmaci che, tuttavia, non avevano portato l’effetto sperato.

Dopo un’infanzia normale (anche se la tosse era costantemente compagna di studio e di giochi), si diploma geometra e inizia a lavorare presso un’agenzia immobiliare. « Facevo una vita del tutto tranquilla, come tanti altri ragazzi della mia età – racconta. Amavo lo sci, le lunghe passeggiate in montagna e facevo anche atletica ». A 23 anni don Andrea entra in seminario accompagnato dalla sua malattia che lo costringe a lunghi periodi di assenza. « Durante il terzo anno di Teologia ho dovuto affrontare tre ricoveri in ospedale, con circa 90 giorni di assenza dal seminario e durante questo periodo sono stati fondamentali i miei amici e i miei compagni di scuola, che mi hanno aiutato tantissimo affinché potessi tenere il passo con gli studi ». Grazie alla sua forza di volontà don Andrea ce l’ha fatta a completare il percorso. Forza di volontà, ma anche tanta, tanta fede. « All’inizio ci sono stati, anche in seminario, dei momenti difficili. Avevo l’idea che non sarei riuscito a compiere pienamente quel cammino sacerdotale che vedevo svolgere e vivere da molti presbiteri. Avevo paura di diventare un “prete di serie B” e che non sarei mai riuscito a essere a disposizione della mia parrocchia a tempo pieno. Avevo paura che non sarei stato in grado di programmare le attività parrocchiali perché avrei potuto non essere presente, o di pensare e organizzare momenti e incontri e poi magari dovermi assentare per un ricovero in ospedale. Poi però è prevalsa la fiducia in una capacità che non è totalmente mia ». « Mi ero reso conto, anche grazie alle esperienze vissute, di quanto fosse importante la collaborazione con gli altri, sia con i consacrati sia con i laici. Ho vissuto molto questo aspetto: sacerdote sì, ma con la collaborazione di tutti. La fibrosi cistica è una malattia che non ti dà tregua e non va in vacanza: infatti devo fare controlli periodici, esami specifici e ricoveri annuali. In ogni caso, come dice un antico detto – “Fa quello che puoi con quello che hai, nel posto in cui sei”  ».

« Caro don Andrea, ricordati di essere stato scelto dal Signore senza alcun tuo merito particolare », ha detto il vescovo di Como Oscar Cantoni, durante l’ordinazione di don Giorgetta. E di questo, il giovane prete è più che consapevole. Perciò a don Andrea non piace presentarsi con la sua malattia, ma con la sua semplice persona. Anche se, osserva « molti preti mi ritengono, sotto certi aspetti, più fortunato di loro perché, essendo io malato, riesco a entrare in sintonia più facilmente con gli ammalati. Infatti spesso mi capita di essere contattato da diverse persone, sia affette da qualche malattia fisica sia per problemi spirituali, per avere un consiglio o una parola di conforto. Tra le persone ammalate, molto spesso la prima cosa che viene a cadere è la fede. Molti dicono: “Signore è colpa tua?”. Io sono del parere, invece, che il Signore non sceglie solo tra i sani, ma anche tra gli ammalati, e con loro fa grandi cose ».

« Ogni due mesi ho degli esami ospedalieri da fare per cui cerco sempre di non fissare delle scadenze nelle mie relazioni personali e interpersonali. Se devo incontrare qualcuno raramente gli fisso un appuntamento a distanza di una settimana, ma lo incontro subito perché non sono in grado di sapere cosa avrò da fare la settimana dopo e soprattutto se fisicamente starò bene nei giorni successivi. In ogni caso, però, è proprio la malattia che mi dà la forza per poter essere vicino alla gente. Questa mia incertezza, questo mio non poter programmare le mie giornate a lunga scadenza mi spingono a consolidare, ancora di più, i rapporti con le persone, a essere sempre più vicino alla gente ». Questo bisogno di stare con gli altri ha spinto don Andrea, prima del suo ingresso in seminario, a costituire un gruppo di volontari a sostegno delle persone affette da fibrosi cistica: « Quando ho scoperto la malattia mi sono buttato nella ricerca, volevo capire esattamente di cosa si trattasse. Sono così venuto a sapere che nella provincia di Sondrio c’erano diversi casi di persone affette da fibrosi cistica. Ho saputo che in Italia, a Verona, c’è la Fondazione per la ricerca sulla fibrosi cistica Onlus; mi sono messo in contatto con i responsabili e ho deciso di fondare un gruppo di volontari. In realtà, all’inizio, il gruppo era formato solo dai miei parenti e dagli amici più stretti, ma ora, a distanza di dieci anni, possiamo contare su un buon numero di associati che operano soprattutto nella zona in cui vivo ». Il gruppo si occupa di reperire i fondi necessari per la ricerca scientifica in vista di una possibile cura di questa patologia, organizzando eventi locali o attraverso la partecipazione ad appuntamenti fissi come, ad esempio, la Sagra dei Crotti o la rassegna di cori Un canto per la speranza. Non sempre la raccolta fondi va a buon fine, ma l’importante per don Andrea è perseverare: « Mi è capitato – ricorda – di andare in una cittadina con 200 ciclamini e tornare a casa con 190 piantine. Questo non mi ha affatto scoraggiato e durante il fine settimana, con amici e parenti, mi sono presentato, con i ciclamini avanzati, all’uscita delle Messe e nelle piazze dei paesi vicini al mio. Ebbene, alla fine ogni fiore aveva trovato la sua casa. Basta perseverare perché col tempo arrivano sempre risposte. Abbiamo iniziato la nostra missione nel 2010 offrendo 200 ciclamini, l’anno dopo ne abbiamo distribuiti 650, il successivo 1.300 e ora non scendiamo mai sotto i 1.500 vasi, cifre importanti per la nostra realtà ». “Perseverare”  e “avere fiducia” sono le parole d’ordine di don Andrea che, rivolgendosi ai ragazzi che scoprono di essere affetti da fibrosi cistica o da qualsiasi altra malattia grave, li invita a « non essere soli. A volte la malattia fa paura, ma a far più paura è la solitudine che affligge il malato nel suo cammino di speranza. In ospedale, l’ammalato è spesso da solo e da solo deve avere fiducia nel prossimo, in chi il Signore ha deciso di mettergli accanto in quei momenti».

Massimiliano Ferragina, l’artista del sorriso e dei colori

Un nuovo amico fa ingresso a casa mia nella “stanza degli amici”. Benvenuto a Massimiliano Ferragina. Calabrese di origini come me ma ben presto trasferitosi a Roma dove si laurea in filosofia e teologia presso la Pontificia Università Gregoriana. La sua espressione artistica è influenzata notevolmente sia dal suo percorso accademico, sia da un viaggio di tre mesi in Sud America e da tre formative residenze d’artista a Parigi, Berlino e Copenaghen. Esordisce in Italia nel gennaio 2012, con il premio Open Art, presso le sale del Bramante a piazza del Popolo (RM). I suoi numerosi progetti artistici, hanno sempre un profondo ed introspettivo messaggio, in cui il mondo interiore  è protagonista e motore immobile. Oggi Massimiliano è un artista di fama mondiale. Gli sono stati riconosciuti numerosi premi, espone in tantissime città e gallerie. Alcune sue opere si trovano collocate nei musei. Di recente, un suo meraviglioso dipinto raffigurante la Trasfigurazione è stato benedetto dal Vescovo di Matera e si trova nel Museo della Diocesi.

Lo faccio accomodare e gli chiedo: che cos’è per te l’amicizia?

«L’amicizia è un dono! –  mi risponde – un dono che si vive nella relazione fraterna. Un dono col valore aggiunto della “gratuità”. E’ proprio questa la caratteristica che denota e connota il sentimento dell’amicizia. Si ama l’amico/a gratuitamente, senza pretendere nulla in cambio, non c’è unità di misura nello scambio tra amici. L’amicizia è incontro, accoglienza, fedeltà, sincerità, verità. Credo sia più nobile dell’amore in sé perché l’amicizia è sentimento puro, non finalizzato, senza scopi, obiettivi. Solo la gioia che nasce dall’esserci, dalla consapevolezza che l’altro c’è! L’amicizia è proprio questo per me, sapere che nella tua esistenza ne esiste un’altra che la partecipa, la vivifica, la valorizza, la sostiene, oltre tutti i limiti e confini che la vita può preservare».  Mi piace molto la tua risposta caro Massimiliano. La condivido.

Orgoglioso e fiero Massimiliano prende il tablet e apre il suo sito ferraginart.onweb.it e mi mostra gli ultimi lavori. Meravigliosi. I colori sono vivi e forti. Tutto parte da un mondo intimo e interiore. Massimiliano si lascia trasportare dalle sue emozioni. In ogni opera, se spegni per un attimo gli occhi del corpo e accendi quelli del cuore, riesci a vedere un filo che parte proprio dal cuore dell’artista ed è collegato al suo pennello e magari, un’opera che inizia in un modo poi termina in un altro, frutto di un percorso di emozioni. Non sono un critico d’arte ma semplicemente un amante del bello e questo ciò che io vedo nelle sue opere d’arte. I colori sono vivi e accesi, la tonalità è forte perché il messaggio che si vuole tramettere è potente ma quando esso diventa più delicato, spirituale,  i tratti diventano sottili e garbati come per stringerti in un abbraccio.

«I colori sono parte fondamentale della nostra vita, – mi racconta Massimiliano – condizionano le nostre scelte, e spesso orientano il nostro umore e stato d’animo. Sottovalutiamo la potenza dei colori sulle nostra percezione, sul nostro modo di comprendere le cose e i fatti che ci accadono. Ci sono colori che indicano emergenza pericolo e ci sono colori che indicano pace e serenità, sono degli strumenti potentissimi che possano renderci più o meno consapevoli di ciò che ci succede intorno».

I colori emozionano e parlano. E poi Massimiliano mi racconta della pittura emozionale biblica. Si tratta dell’unione, della commistione tra pittura emozionale e Bibbia. «Leggere alla luce delle emozioni dei personaggi il testo biblico e trasportarlo in pittura attraverso l’uso dei colori primari. Potremmo dire una forma di esegesi biblica col colore. Questo connubio pittura emozionale e Bibbia nasce dal desiderio di fondere la catechesi con la pittura. La pittura emozionale biblica trova fondamento nell’invito di papa Francesco che parla e auspica di vivere momenti di Chiesa in uscita fin dal suo inizio di pontificato “Chiesa in uscita è il passaggio da una pastorale di semplice conservazione ad una pastorale decisamente missionaria”. La pittura emozionale biblica è da considerarsi Chiesa in uscita perché attraverso la creatività, il laboratorio attivo, si fa esegesi, si fa conoscenza del testo narrativo, si fa meditazione, arte che conduce alla preghiera. La pittura diventa nuovo linguaggio per la conversione e per la mediazione dei contenuti della fede.

I Workshop di pittura emozionale sono dei corsi di pittura intensivi tra teoria e pratica, guidati dall’artista Massimiliano Ferragina. Lo scopo del workshop è quello di riconoscere le proprie emozioni ed imparare a trasmetterle sulla tela per tradurle in arte attraverso la potenza dei colori primari. Non serve saper disegnare o essere esperti di arti visive ma è necessario desiderare l’esplorazione delle proprie emozioni lasciandosi guidare alla loro visualizzazione attraverso la potenza dei colori essenzialmente primari. Il corso prevede quindi uno scambio tra l’artista e i partecipanti, una comunione artistica. Il risultato si traduce in una opera d’arte personale che ciascun partecipante porterà con sé». Mentre parliamo e sorseggiamo un te il nostro discorso sofferma l’attenzione sull’attuale situazione che stiamo vivendo. Conveniamo entrambi che c’è desiderio di normalità, di quotidianità, di speranza.  Ed ecco che Massimiliano mi dice: «Viviamo giorni inediti, nessuno di noi avrebbe mai immaginato che in un mondo evoluto come il nostro, fosse proprio un piccolo batterio a paralizzarci. Siamo disorientati perché messi al muro da un nemico invisibile, subdolo, inafferrabile, imprevedibile. Spaventati perché questo nemico convive con noi, cammina sulle nostre gambe, ci costringe a stare distanti, a rinunciare alla bellezza della prossimità. Ci impone di parlare di morte, di pensarla, di vederla. Eppure…eppure ci stiamo difendendo, lottiamo con la stupidità, la superficialità l’immaturità di alcuni, eppure ci stiamo difendendo, questa difesa, in fondo, ci dice quanto siamo amanti della vita, quanto siamo vivi e desiderosi di vivere. Ecco allora che il messaggio di speranza: sforziamo di essere portatori di vita per gli altri, per chi soffre, cerchiamo di inneggiare alla vita nonostante e comunque. DOBBIAMO FARLO TUTTI! Noi vivi, siamo obbligati a cantare la vita, a farci messaggeri per chi soffre, chi si ammala, chi vive un disagio, facciamoci “angeli” portatori di un messaggio vivo e vivente, testimoni di una luce che nessun virus può distruggere. Il messaggio è in sintesi la necessità di farsi Vita quando intorno la vita è minacciata. Serve la creatività del cuore in questo momento, la rinuncia all’odio, la spinta interiore a piccoli gesti di soccorso. Nelle cose piccole, come in quelle grandi, dalla mamma di famiglia, al rappresentante politico, dall’insegnante al dirigente d’azienda, dal medico al rider. Amare la vita nonostante tutto è l’unico messaggio capace di annientare l’imperante cultura della morte che in questo tempo di pandemia si è con-fusa con la morte stessa. La vita è più forte e vince sempre, se la si ama».

Sono contento di avervi fatto conoscere il mio amico Massimiliano Ferragina. Sono sicuro che diventerà anche il vostro amico.