Enrico è nato a Bari da una famiglia cristiano-cattolica – come piace definirla lui – è un mastro iconografo di icone bizantine e anche autore di Prayerandcolor.
«Il mio cammino verso le icone nasce da quando ero piccolo: ero affascinato dagli opuscoli della Messa, quelli che vengono distribuiti in chiesa, e mi colpivano maggiormente i disegni in prima pagina, li collezionavo tutti. Poi pian piano, crescendo, le grandi tele e le pale d’altare all’interno delle chiese mi hanno regalato ispirazione e curiosità, e da lì è iniziata la mia crescita spirituale nel mondo delle Sante Immagini».
Enrico è un ragazzo semplice, della porta accanto. Gli ho chiesto il suo rapporto con la fede e lui mi ha detto che «la parola fede è collegata alla parola “incontro”, un incontro vero e proprio con Dio, come Abramo. Beh, nella mia vita ho sempre incontrato Dio, attraverso una malattia, attraverso una sofferenza, attraverso delle persone e anche attraverso una gioia. Posso dire che ho incontrato Dio per la mia prima volta quando sono nato, attraverso l’amore dei miei genitori che mi hanno messo al mondo per Sua Volontà e non per la loro».
La passione per le icone nasce durante i suoi studi universitari. Bari è la città di San Nicola, il Santo sia della Chiesa Ortodossa che di quella Cattolica – il Santo dell’Ecumenismo tra le due fedi, ed è proprio qui che è iniziato il suo cammino verso le icone. «Tutto è partito quando visitai la prima volta la Chiesa Russa Ortodossa della mia città. Quando entrai mi trovai nel momento della Divina Liturgia – sembrava di essere in Paradiso: i canti, gli incensi, le candele e le icone, sembrava di toccare il cielo. E’ stato un vero e proprio colpo di fulmine. Erano le icone che guardavano me e non io loro. Da quel momento sentii un qualcosa, iniziai a farmi tante domande su cosa fossero quelle tavole intrise di oro e colori, sulle loro origini, perché la chiesa ortodossa le venera così tanto. E così iniziai a mettermi in gioco, a scoprire perché Dio avesse suscitato in me questo ardore, questa chiamata. Frequentai i primi corsi di iconografia in Grecia, in Russia e negli Stati Uniti, ed ora sono qui a trasmettere questa mia passione a chi vuole seguire questo stesso cammino».
Ma qual è il messaggio che si cela dietro ad un’icona? «Quando ci si sofferma davanti ad un’Icona – dice Enrico – si prova qualcosa di indescrivibile. Ecco, sono delle “finestre verso il Mistero di Dio”. Penso che l’aggettivo più appropriato per definirle sia che esse sono il Vangelo dei poveri, poveri intesi anche di spirito. In passato, la Chiesa le utilizzava per evangelizzare, erano strumenti didattici perché ci si trovava di fronte a persone poco istruite che non sapevano né leggere e né scrivere. Attraverso le icone tutto era più semplice, venivano spiegati i Vangeli e il Mistero dell’Incarnazione. Ma non solo, esse non sono dei semplici quadri che rappresentano Santi e scene bibliche, sono qualcosa di più, sono punti di incontro tra il fedele e l’Invisibile: ci ricordano la parte visibile dell’Invisibile, ce lo fanno presente, in quanto rappresentano il Prototipo e il Mistero dell’Incarnazione. Platone affermava che “…il Bello è lo splendore del Vero”. Le icone sono parte fondamentale di questa Bellezza e testimoniano lo Splendore del Re. In questo momento di silenzio l’Icona ha un ruolo fondamentale per tutti noi, quello di guida, indicandoci la via giusta da seguire. L’uomo odierno corre verso bellezze futili che il mondo propone, non ha mai tempo di soffermarsi e guardare il cielo, la natura, il creato, la Vera Bellezza, ecco le icone ci insegnano questo: dobbiamo invertire i nostri passi verso di loro, per avvicinarci a Dio.
Ora Enrico ci illustra una delle sue icone perché c’è un guardare e un contemplare.
L’icona che è stata scelta rappresenta la “Vergine della Tenerezza”, è un ‘icona commissionata che ben presto prenderà posto in una chiesa per essere venerata. Il modello di questa icona riprende quello dell’Odegitria, Colei che indica la via, ma stavolta viene dato posto allo scambio di affetto tra la Madre e il suo Bambino – le guance del Bambino e quelle della Madre si avvicinano fino a toccarsi, la Madre tiene il Bambino sulla sua mano e questi spinge il suo affetto fino ad abbracciarle il collo col suo braccio. Questa tipologia viene anche chiamata con il termine “Eleousa” (dal greco (έλεος) che sta a significare “colei che si intenerisce”, invece nella lingua russa assume il nome di Умиление, “Umilìenie” cioè “colei per cui ci si intenerisce”. Maria esprime la capacità di abbandonarsi in quell’abbraccio dando voce al Salmo 17,8: “Custodiscimi come pupilla dei tuoi occhi, proteggimi all’ombra delle tue ali”.
La Madre di Dio indossa un abito color porpora, il maforion, come le imperatrici bizantine per sottolineare la Sua regalità: Ella è la Regina degli Angeli.
Le tre stelle sul capo e sulle due spalle indicano la sua verginità prima, durante e dopo il parto – Dio era, infatti, colui che da lei nacque, perciò la natura mutò il suo corso. Simboleggiano anche la Trinità e anche il simbolo della croce.
In questa icona Cristo abbraccia volontariamente la croce affinché fosse innalzato come il serpente di Mosè nel deserto, per dare vita a coloro che sono morsi dal peccato: perché chiunque crede in Lui non muoia, ma abbia la vita eterna e verrà salvato. Non è dunque un caso che anche nell’arte orientale la Vergine torni a posare il proprio viso su quello del figlio in alcune delle scene chiave della Passione, basti ricordare le icone della Deposizione dalla croce e del Lamento sul Cristo morto.
In questa icona è narrata tutta la vicenda storica di Gesù: dall’incarnazione del Logos, alla Croce e alla Resurrezione, in una realtà eterna, dove il tempo lascia spazio ad un “presente continuo”. Quando si ammira quest’icona, i volti dei due personaggi colpiscono all’istante: Maria ha un volto triste, non guarda Gesù, ma da Lui è guardata. Allora il volto della Vergine è il volto sofferente della madre delle madri che per secoli si immedesimano in lei.
Sul volto di Maria, sulla guancia in cui si uniscono i due volti, è “scritta” l’immagine della promessa dell’angelo: teneramente il Figlio accoglie sotto la sua ombra la Madre, proteggendola con amore infinito. L’icona propone quindi un definitivo rovesciamento di prospettiva: non è una madre che abbraccia il suo bambino e lo consola, ma piuttosto, un bambino che sostiene e consola una madre. Così come il Cristo sostiene e conforta la Chiesa in cammino. Il Bambino Gesù custodisce dolcemente l’umanità della Vergine ed attraverso di Lei l’intero genere umano.
La Madre intercede presso di lui in favore dell’umanità: evoca tenerezza compassionevole. Ella con la sua mano sinistra indica il Bambino, la via da seguire al quale conviene rivolgersi, come nelle nozze di Cana: “Fate quello che vi dirà” (Giovanni 2,5).
Il Bambino ha il collo gonfio che simboleggia la pienezza dello Spirito Santo ed è rappresentato come se fosse un adulto perché “cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini”, (Luca 2,52) e il suo volto è serio, come quello di un adulto, ma di una serietà che ci dona sicurezza e fiducia in Lui.
La Madonna rivolge il suo sguardo incredibilmente dolce e triste verso il credente che contempla l’Icona ed attraverso di lui a tutta l’umanità. La tutta Santa si rattrista a causa dell’allontanamento degli uomini da Dio, causa unica dei loro fallimenti e delle sofferenze di cui il mondo è pieno. E con i suoi grandi occhi verso l’infinito ci guarda, segue i nostri destini e ci invita ad immergerci in lei, nel suo cuore materno. Lei è la nuova Eva in cui si riflette ciascun uomo turbato e confuso da tanto amore del Signore. Nasce un profondo dialogo spirituale. Lo sfondo dell’icona è di color verde simbolo del Paradiso Terrestre, dove Lei ci aspetta a braccia aperte. Nell’icona la sofferenza si trasfigura nel più sublime amore, in vicinanza, in tenerezza.
“… tu, buona Signora, madre del buon Signore, assistici e governa i nostri destini ove tu vuoi; reprimi fa violenza delle nostre passioni abiette onde condurci, una volta placata la tempesta, nel porto tranquillo della volontà divina, stimandoci degni della futura beatitudine, di quella dolce luce, cioè, che si irradia alfa visione del Verbo di Dio da te fatto carne. A lui, insieme con il Padre e il santissimo e buono e vivificante Spirito, sia gloria, onore, impero, maestà e magnificenza, ora e sempre, nei secoli dei secoli! Amen. “