Fabrizio Mirante e la sua nuova vita dopo l’incidente in cui ha perso una gamba

Fabrizio da bambino amava giocare a calcio e, un pomeriggio, all’età di 12 anni, dopo una partita stava rientrando a casa a piedi senza aspettare la madre che lo venisse a prendere. Siamo a Taverna, nella presila catanzarese, culla di Mattia Preti. Quel pomeriggio una macchina gli piombò addosso, provocandogli il trancio netto della gamba destra, cambiandogli completamente la vita.

Un vero e proprio calvario. Nessuno gli dava speranza. Viene scortato a Catania per un doloroso e lungo intervento. Al centro Roga di Enna qualcuno riaccende la fiammella della speranza.

L’atleta Fabrizio Mirante, nel mese di dicembre 2021, era stato convocato per il raduno con la Unicredit Fispes Academy a Roma e, dopo diversi test e accurate e scrupolose valutazioni dello staff Tecnico della Nazionale Giovanile, è stato inserito nella lista degli ATLETI di INTERESSE NAZIONALE – livello Promo per l’anno 2022.

Nel video ospite a Fatti per il Cielo racconta la sua storia.

Una finestra sul Cielo. Federico Pini e la sua storia di conversione e fede

 

Per qualche strano disegno alcune persone entrano nella tua vita. Così è successo con Federico Pini, giornalista Mediaset. Mi capitava spesso di vederlo nei servizi del telegiornale. Il mio pranzo coincide più o meno con la messa in onda di Studio Aperto su Italia 1. Volto, presenza e modi di porsi garbati, gentili, rassicuranti. Come spesso accade, non conosciamo nulla del vero mondo privato dei personaggi televisivi. Un giorno, una persona mi consigliò il suo libro edito dalla casa editrice Intrecci Edizioni, dal titolo Una Finestra sul Cielo. Aveva seguito una puntata del mio programma su Padre Pio Tv, Fatti per il Cielo e pensò che mi potesse interessare. Essendo molto devoto all’angelo custode, il titolo e la tematica catturarono la mia attenzione subito. Ho letto il libro in poche ore.

C’è il racconto di una storia e un intreccio con altre storie. È la storia di Federico e della sua famiglia, lontana anni luce della fede. Nato a Livorno il 23 Giugno 1971. «Un sacerdote venne in reparto a far visita a tutte le neo mamme. All’epoca era una cosa frequente. Nel salutarci – Federico riporta nel libro le parole della madre – ci chiese se volevamo battezzare i nostri figli. Ricordo che eri nato da poche ore. Ci pensai un attimo, ma decisi di accogliere l’invito di quel prete, che dispose te e altri bambini sopra un carrello che le infermiere usavano per trasportare il cibo ai malati, e che venne coperto con un grande telo bianco morbido, trasformandosi nel vostro fonte battesimale. Eravate molto belli, tutti in fila. Alcuni di voi strillavano, altri come te erano tranquilli. Indossavi un completino che ti aveva regalato la nonna, di colore azzurro con ricami della stessa tonalità. Peccato che nessuna di noi mamme avesse una macchina fotografica. Non potrò mai dimenticare quell’immagine tanto tenera di voi che venivate bagnati con l’acqua benedetta e scalciavate con i piedini.” Il gesto illuminato di un prete che svolge semplicemente la sua missione, Federico lo definisce un angelo in terra e di interventi angelici nel libro ne sono raccontati tanti. Molti di questi incontri avvengono nel sogno. Nulla di nuovo. Nelle pagine della Sacra Scrittura sono tanti gli interventi divini durante le ore del sonno. Per citarne alcuni: Giacobbe, Giuseppe di Nazaret.

Era una notte del 1995, Federico ha 24 anni, un giovane pieno di vitalità che come tanti passava le sue notti in discoteca a divertirsi. «Ma Dio aveva deciso di scompigliare le carte, – scrive l’autore – com’è nel Suo stile, imprevedibile e decisamente creativo: se secoli fa ha folgorato in modo spettacolare San Paolo sulla via di Damasco, con me, che non sono certo un santo, ha scelto una via decisamente meno dirompente ma originale. Il Padre Eterno mi ha fatto incontrare l’angelo custode mentre recuperavo le energie perse in discoteca, in una delle tante notti estive trascorse tra luci, musica assordante, incontri fugaci…  Un incontro avvenuto mentre sono in piena fase Rem, fra le braccia di Morfeo. Quella mattina, appena sveglio, le prime parole sgorgate come acqua fresca dal rubinetto sono state: “Ho sognato l’angelo custode.” Ho sentito il mio cuore sollevato, leggero. Mi sono detto: “Cosa c’entra con me?”». Da questo sogno il cambiamento, la conversione. «Il Signore ha amorevolmente fatto scorrere la sua matita nella mia vita per disegnare un quadro di straordinaria bellezza. È successo che non è passato giorno, da quella fatidica notte dal sapore manzoniano (ricordate? anche l’Innominato si convertì nel corso di una notte movimentata), in cui il mio angelo non si sia divertito a seminare frammenti, a volte impercettibili, della sua reale presenza al mio fianco». Federico non ne fa un fenomeno da baracconi come avviene in certi salotti televisivi in cui sedicenti sensitivi li fanno parlare quando le lucine rosse delle telecamere sono accese. «In televisione – racconta Federico – capita di imbattersi in pseudo-sensitivi che sostengono di intercettare all’istante gli angeli al fianco delle persone del pubblico. Come si può pensare, caro lettore e cara lettrice, che queste guide celesti così preziose rispondano a comando per esigenze di spettacolo, solo per soddisfare curiosità a uso e consumo mediatico? Esistono, certo, persone a cui Dio dona la grazia di vedere gli angeli».

Una storia di vita e di fede quella dell’autore Federico Pini che possono essere d’esempio per chi crede, per coloro che hanno fede ma anche un messaggio forte per chi non ha il dono della fede.

Leggendo le pagine del libro, con la prefazione di Cristina Parodi, ciò che fin da subito mi ha colpito è l’assenza di ogni forma di esaltazione. Ho letto semplicità, piccolezza, umiltà. Dice Federico: «Mi sono lasciato avvolgere dalla sua misericordia senza alcun filtro razionale».  Scopre la bellezza e il valore della preghiera, il Santo Rosario e la Santa Messa quotidiana dopo aver ricevuto la prima comunione e la cresima a 25 anni. Non vi spaventi la tarda età. La sua mamma aveva 54 anni e il papà 56 quando ricevettero rispettivamente la prima comunione e la cresima.

Molto emozionante nel libro il racconto della conversione dei genitori e la devozione a San Pio da Pietrelcina.  «Dio si è servito di me come detonatore per far esplodere una forma “contagiosa” di accostamento al sacro: non dimenticate che la mia famiglia era pressoché atea, a parte mio padre che poteva vantare nel suo curriculum spirituale la Comunione ricevuta da piccolo, ma non la Cresima. Mia mamma, per formazione culturale e soprattutto politica ereditata da mio nonno, era allergica alla Chiesa. Un po’ tutti comunisti mangia preti, i miei familiari, com’è nel DNA del livornese doc, che però guai se gli si tocca la Madonnina del Santuario di Montenero! C’è sempre una pecora nera in famiglia, qualcuno che prima o poi decide di percorrere un altro binario e crea inevitabilmente scompiglio. Così è stato per me». Nel 1997 alla mamma viene diagnosticato un tumore al rene sinistro. «Quando è entrata in sala operatoria le ho chiesto di pregare il suo angelo custode, certo che l’avrebbe assistita in modo speciale». Gettavo il mio sguardo fuori dalla finestra del reparto: era una mattina di settembre ma si coglievano ancora i colori dell’estate che sembrava non volersi arrendere all’autunno alle porte, sbarrandogli la strada divertendosi con una brezza calda e leggera a sparigliare le foglie degli alberi. Quella scena aveva un titolo: il dolore prima della rinascita. In me prendeva sempre più forma la consapevolezza che tutta quella sofferenza avrebbe seminato una gioia futura. Il mio pensiero saliva oltre quelle foglie, bussando insistente alla porta di Dio per raccomandarsi che l’intervento andasse bene. Dopo alcune ore il medico ci informò che era andato tutto per il meglio e che il carcinoma, dalle dimensioni ridotte, era stato eliminato: mia madre aveva ancora il rene sinistro, le avevano asportato soltanto una piccola parte, e probabilmente non avrebbe dovuto sottoporsi alla chemioterapia. Ho ancora impressa nella memoria l’immagine di mia madre che a distanza di pochi giorni dall’intervento camminava nel corridoio dell’ospedale, appoggiata a un carrello e con lo sguardo sfiduciato. Il suo umore, com’è immaginabile, era a terra. Un giorno mi disse: “Se non dovessi farcela, appena sarò vicino al Signore gli chiederò il permesso di darti un segno della mia vicinanza dall’Aldilà.”.

Il Signore ha le sue vie e i suoi disegni. In quelle vie e in quei disegni c’è anche il nostro volto e la nostra storia e quando questa incontra il dito di Dio, si trasforma. Auguro a me e a voi questo incontro straordinario. Leggete queste pagine di Federico Pini. Scoprirete tante altre cose, ma soprattutto, sono sicuro che come me anche voi avrete attimi di silenzio per esclamare: “ma che meraviglia l’opera del Signore!”.

 

Don Francesco Cristofaro

Fatti per il Cielo – Anime libere – Padre Pio Tv

Fatti per il Cielo è un programma ideato e condotto da Don Francesco Cristofaro, in onda su Padre Pio Tv tutte le domeniche alle 8:40 e in replica il mercoledì alle 10;15 al termine dell’udienza papale e il venerdì alle 13:20.

In questa puntata, don Francesco ha avuto ospite, Claudio Capretti, autore del nuovo libro Anime libere (Intrecci edizioni).

Emma, Ruth e Fatima , si ritrovano a vivere sullo stesso pianerottolo di casa, e nonostante il disappunto dei loro mariti che vietano alle loro mogli di far entrare nelle loro case “queste persone” in quanto diverse, esse, seguendo il loro istinto, si incontrano  per iniziare a “imbastire” una sincera amicizia. Partendo dal rispetto per se stesse e animate dal desiderio di essere amiche, iniziano a mettere in comune il loro dolore legato al dolore dei loro figli. Questo, è il loro punto di partenza, poiché sono consapevoli che non ci si può incamminare sul viale dell’amicizia se prima non conosci il dolore di chi ti cammina accanto. Loro stesse,  nello scegliere di essere libere da ogni forma di pregiudizio, si accorgeranno che la diversità religiosa più che un ostacolo, diverrà una ricchezza che manifesteranno alla fine dinanzi alle loro comunità.

Famiglie protagoniste:

Emma e Giuseppe, cristiani e attivi in parrocchia che si trovano ad affrontare il dolore di Matilde, che di nascosto di loro ha abortito.  A causa di questo evento, la famiglia si divide e ognuno di loro, vive nella solitudine il proprio dolore senza accorgersi che questo atteggiamento, amplifica la loro fragilità e il loro dolore. Nel narrare il loro impegno in parrocchia, ho evidenziato la delusione di questa famiglia quando si scontrano con l’autoreferenzialismo , il protagonismo e l’esibizionismo di realtà ecclesiali che dovrebbero essere a servizio della chiesa. Sono quelle classiche situazioni che purtroppo allontanano le persone dalla parrocchia. (cap 5)

Ruth e Jacob, ebrei osservanti, nonostante siano trascorsi diversi anni, non riescono ancora a superare il dolore a causa dell’abuso che il loro figlio, David, subì da bambino. Anche in questa famiglia, ognuno di loro, vive nella solitudine il loro dolore. (cap 4)

Fatima e Hibraim, musulmani osservanti, vivono con il dolore e il rimorso di avere un figlio che, in un attacco terroristico, uccide uccidendosi. Nel racconto, verrà fuori che le cose non stanno in questo modo, bensì che il loro figlio, Hassan, è stato ucciso dai suoi capi in quanto si è rifiutato di uccidere. Tutto ciò, lo sapranno attraverso il loro nipote Ismael, il quale, con incoscienza, aderì con Hassan a un gruppo terroristico. (cap 3)

Le tre donne, dopo aver condiviso il loro dolore, comprendono che la prima cosa da fare è quella di recuperare il loro legame con i loro mariti, scoprendo che ognuno di loro si allontanano dal posto di lavoro sempre lo stesso giorno della settimana. Ognuna di loro, pedinando il loro marito scopre che:  Jacob, per entrare nel dolore del figlio e aiutarlo, fa volontariato presso una casa di accoglienza di  ragazzi abusati (cap 7);  Giuseppe, per capire il dolore di sua figlia e aiutarla, rimane a osservare dentro un ospedale, le ragazze che abortiscono (cap 8); Hibraim, per superare il dolore della morte di suo figlio, si reca nel museo a fissare un volto dipinto che lo riconduce a suo figlio (cap 9).

Le tre donne dopo aver raggiunto  i loro rispettivi mariti, tornano a condividere il loro dolore con ognuno di loro in una forma nuova e spingono i loro mariti a incontrarsi con i loro figli. Nel frattempo Fatima viene a conoscenza che Ismael, il nipote che hanno cresciuto e che con Hassan aveva aderito al gruppo terroristico, si trova ora in Italia in prigione. Se Hibraim lo ritiene responsabile della morte di suo figlio e non vuole incontrarlo, Fatima, vede in questo fatto l’opportunità di sapere la verità e convince Hibraim ad andare a trovarlo in prigione (cap 13). Nello stesso giorno in cui Hibraim incontra Ismael, Jacob porta suo figlio in montagna (cap 15) e  Giuseppe porta sua figlia al mare (cap 14). In questi capitoli, ho evidenziato sia il ruolo del padre nel contesto familiare dinanzi a problematiche difficili, e sia il ruolo che le loro mogli hanno avuto nel rimarcare ai loro mariti il ruolo di padri. Al temine di questi tre capitoli, c’è l’incontro e l’abbraccio dopo che ogni figlio avrà consegnato il proprio dolore al proprio padre e viceversa.

Superato questo scoglio, le tre donne iniziano a come palesare ai loro mariti la loro amicizia. Così, organizzano due incontri fra le tre famiglie che devono apparire agli occhi dei loro mariti del tutto casuali. Un primo incontro avviene in un supermercato (cap 11) e un secondo incontro al mare (cap 23). In questo capitolo tra Matilde e David nasce un sentimento molto forte che sfocerà nell’amore (cap 27). Questo amore, li porterà a superare il loro incidentato passato. Sempre in questo capitolo, i due ragazzi si conosceranno anche con Ismael, rimesso in libertà in quanto innocente e Clarissa, la sua fidanzata.

Nel cap 28, le tre donne, aiutate dai loro figli escono allo scoperto e palesano ai loro mariti che, nonostante le loro diversità di credo, vogliono restare amiche. Dinanzi a questa dichiarazione, i mariti reagiscono in malo modo; saranno i loro figli che li faranno prendere atto dell’assurdità delle loro posizioni. Quella stessa sera, mogli e mariti e subito dopo i loro figli, si ritroveranno sul pianerottolo di casa a condividere l’inizio della loro amicizia.

Il cap 29 si svolge nel giardino della parrocchia dove il parroco ha invitato le altre due comunità religiose con le loro guide, un rabbino e un imam, a raccontare l’esperienza di queste tre donne, le quali fidandosi di Dio, hanno scelto d’incontrarsi. Diventerà un momento di condivisione in cui le tre guide, ricordando anche le parole di papa Francesco, ribadiscono che camminare insieme e costruire un mondo pacifico, è possibile.

Il cap 30 chiude il racconto con l’immagine di Ruth, Emma e Fatima che, nel cuore della notte, si incamminano su un sentiero di montagna per arrivare sulla cima allo spuntare del sole per seminare, su un piccolo campo, dei ciclamini. Ogni cosa ha un senso: la notte rappresenta che proprio nelle notti oscure del loro dolore si sono incontrate e hanno camminato insieme. Il terreno che viene dissodato significa che, prima di seminare, occorre dissodare il terreno del proprio cuore da ogni forma di pregiudizio. Scavare la terra inserire i bulbi di ciclamino, significa che per accogliere il dolore dell’altro, del diverso, devi scavare dentro il proprio cuore in modo da fargli spazio e accoglierlo. L’acqua che queste donne verseranno sui bulbi seminati, rappresentano le lacrime che hanno versato. Il sole che sorgendo bacia il terreno seminato, rappresenta la vittoria della Luce sulle tenebre.  Questa è la storia di tre donne di mezza età, in menopausa e un po’ in sovrappeso. Tre donne su cui nessuno avrebbe mai scommesso, ad eccezione di Dio che scruta i cuori e che fa delle pietre scartate, pietre angolari. Ognuna di loro, lasciandosi toccare da Dio, hanno poi realizzato opere che hanno toccato il cuore di Dio. Ed è a questo punto che Egli, ha operato attraverso queste tre donne, miracoli che solo Lui può compiere.

Enrico Morisco e il “linguaggio” delle icone

    Enrico è nato a Bari  da una famiglia cristiano-cattolica  – come piace definirla lui – è un mastro iconografo di icone bizantine e anche autore di Prayerandcolor.

«Il mio cammino verso le icone nasce da quando ero piccolo: ero affascinato dagli opuscoli della Messa, quelli che vengono distribuiti in chiesa, e mi colpivano maggiormente i disegni in prima pagina, li collezionavo tutti. Poi pian piano, crescendo, le grandi tele e le pale d’altare all’interno delle chiese mi hanno regalato ispirazione e curiosità, e da lì è iniziata la mia crescita spirituale nel mondo delle Sante Immagini».

Enrico è un ragazzo semplice, della porta accanto. Gli ho chiesto il suo rapporto con la fede e lui mi ha detto che «la parola fede è collegata alla parola “incontro”, un incontro vero e proprio con Dio, come Abramo. Beh, nella mia vita ho sempre incontrato Dio, attraverso una malattia, attraverso una sofferenza, attraverso delle persone e anche attraverso una gioia. Posso dire che ho incontrato Dio per la mia prima volta quando sono nato, attraverso l’amore dei miei genitori che mi hanno messo al mondo per Sua Volontà e non per la loro».

La passione per le icone nasce durante i suoi studi universitari. Bari è la città di San Nicola, il Santo sia della Chiesa Ortodossa che di quella Cattolica – il Santo dell’Ecumenismo tra le due fedi, ed è proprio qui che è iniziato il suo cammino verso le icone. «Tutto è partito quando visitai la prima volta la Chiesa Russa Ortodossa della mia città. Quando entrai mi trovai nel momento della Divina Liturgia – sembrava di essere in Paradiso: i canti, gli incensi, le candele e le icone, sembrava di toccare il cielo. E’ stato un vero e proprio colpo di fulmine. Erano le icone che guardavano me e non io loro. Da quel momento sentii un qualcosa, iniziai a farmi tante domande su cosa fossero quelle tavole intrise di oro e colori, sulle loro origini, perché la chiesa ortodossa le venera così tanto. E così iniziai a mettermi in gioco, a scoprire perché Dio avesse suscitato in me questo ardore, questa chiamata. Frequentai i primi corsi di iconografia in Grecia, in Russia e negli Stati Uniti, ed ora sono qui a trasmettere questa mia passione a chi vuole seguire questo stesso cammino».

Ma qual è il messaggio che si cela dietro ad un’icona? «Quando ci si sofferma davanti ad un’Icona – dice Enrico – si prova qualcosa di indescrivibile. Ecco, sono delle “finestre verso il Mistero di Dio”. Penso che l’aggettivo più appropriato per definirle sia che esse sono il Vangelo dei poveri, poveri intesi anche di spirito. In passato, la Chiesa le utilizzava per evangelizzare, erano strumenti didattici perché ci si trovava di fronte a persone poco istruite che non sapevano né leggere e né scrivere. Attraverso le icone tutto era più semplice, venivano spiegati i Vangeli e il Mistero dell’Incarnazione. Ma non solo, esse non sono dei semplici quadri che rappresentano Santi e scene bibliche,  sono qualcosa di più, sono punti di incontro tra il fedele e l’Invisibile:  ci ricordano la parte visibile dell’Invisibile, ce lo fanno presente, in quanto rappresentano il Prototipo e il Mistero dell’Incarnazione. Platone affermava che “…il Bello è lo splendore del Vero”. Le icone sono parte fondamentale di questa Bellezza e testimoniano lo Splendore del Re. In questo momento di silenzio l’Icona ha un ruolo fondamentale per tutti noi, quello di guida, indicandoci la via giusta da seguire. L’uomo odierno corre verso bellezze futili che il mondo propone, non ha mai tempo di soffermarsi e guardare il cielo, la natura, il creato, la Vera Bellezza, ecco le icone ci insegnano questo: dobbiamo invertire i nostri passi verso di loro, per avvicinarci a Dio.

 

Ora Enrico ci illustra una delle sue icone perché c’è un guardare e un contemplare.

L’icona che è stata scelta rappresenta la “Vergine della Tenerezza”, è un ‘icona commissionata che ben presto prenderà posto in una chiesa per essere venerata. Il modello di questa icona riprende quello dell’Odegitria, Colei che indica la via, ma stavolta viene dato posto allo scambio di affetto tra la Madre e il suo Bambino – le guance del Bambino e quelle della Madre si avvicinano fino a toccarsi, la Madre tiene il Bambino sulla sua mano e questi spinge il suo affetto fino ad abbracciarle il collo col suo braccio. Questa tipologia viene anche chiamata con il termine “Eleousa” (dal greco (έλεος) che sta a    significare “colei che si intenerisce”, invece nella lingua russa assume il nome di Умиление, “Umilìenie” cioè “colei per cui ci si intenerisce”. Maria esprime la capacità di abbandonarsi in quell’abbraccio dando voce al Salmo 17,8: “Custodiscimi come pupilla dei tuoi occhi, proteggimi all’ombra delle tue ali”.

La Madre di Dio indossa un abito color porpora, il maforion, come le imperatrici bizantine per sottolineare la Sua regalità: Ella è la Regina degli Angeli.

Le tre stelle sul capo e sulle due spalle indicano la sua verginità prima, durante e dopo il parto – Dio era, infatti, colui che da lei nacque, perciò la natura mutò il suo corso. Simboleggiano anche la Trinità e anche il simbolo della croce.

In questa icona Cristo abbraccia volontariamente la croce affinché fosse innalzato come il serpente di Mosè nel deserto, per dare vita a coloro che sono morsi dal peccato: perché chiunque crede in Lui non muoia, ma abbia la vita eterna e verrà salvato. Non è dunque un caso che anche nell’arte orientale la Vergine torni a posare il proprio viso su quello del figlio in alcune delle scene chiave della Passione, basti ricordare le icone della Deposizione dalla croce e del Lamento sul Cristo morto.

In questa icona è narrata tutta la vicenda storica di Gesù: dall’incarnazione del Logos, alla Croce e alla Resurrezione, in una realtà eterna, dove il tempo lascia spazio ad un “presente continuo”. Quando si ammira quest’icona, i volti dei due personaggi colpiscono all’istante: Maria ha un volto triste, non guarda Gesù, ma da Lui è guardata. Allora il volto della Vergine è il volto sofferente della madre delle madri che per secoli si immedesimano in lei.

Sul volto di Maria, sulla guancia in cui si uniscono i due volti, è “scritta” l’immagine della promessa dell’angelo: teneramente il Figlio accoglie sotto la sua ombra la Madre, proteggendola con amore infinito. L’icona propone quindi un definitivo rovesciamento di prospettiva: non è una madre che abbraccia il suo bambino e lo consola, ma piuttosto, un bambino che sostiene e consola una madre. Così come il Cristo sostiene e conforta la Chiesa in cammino. Il Bambino Gesù custodisce dolcemente l’umanità della Vergine ed attraverso di Lei l’intero genere umano.

La Madre intercede presso di lui in favore dell’umanità: evoca tenerezza compassionevole. Ella con la sua mano sinistra indica il Bambino, la via da seguire al quale conviene rivolgersi, come nelle nozze di Cana: “Fate quello che vi dirà” (Giovanni 2,5).

Il Bambino ha il collo gonfio che simboleggia la pienezza dello Spirito Santo ed è rappresentato come se fosse un adulto perché “cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini”, (Luca 2,52) e il suo volto è serio, come quello di un adulto, ma di una serietà che ci dona sicurezza e fiducia in Lui.

La Madonna rivolge il suo sguardo incredibilmente dolce e triste verso il credente che contempla l’Icona ed attraverso di lui a tutta l’umanità. La tutta Santa si rattrista a causa dell’allontanamento degli uomini da Dio, causa unica dei loro fallimenti e delle sofferenze di cui il mondo è pieno. E con i suoi grandi occhi verso l’infinito ci guarda, segue i nostri destini e ci invita ad immergerci in lei, nel suo cuore materno. Lei è la nuova Eva in cui si riflette ciascun uomo turbato e confuso da tanto amore del Signore. Nasce un profondo dialogo spirituale. Lo sfondo dell’icona è di color verde simbolo del Paradiso Terrestre, dove Lei ci aspetta a braccia aperte. Nell’icona la sofferenza si trasfigura nel più sublime amore, in vicinanza, in tenerezza.

“… tu, buona Signora, madre del buon Signore, assistici e governa i nostri destini ove tu vuoi; reprimi fa violenza delle nostre passioni abiette onde condurci, una volta placata la tempesta, nel porto tranquillo della volontà divina, stimandoci degni della futura beatitudine, di quella dolce luce, cioè, che si irradia alfa visione del Verbo di Dio da te fatto carne. A lui, insieme con il Padre e il santissimo e buono e vivificante Spirito, sia gloria, onore, impero, maestà e magnificenza, ora e sempre, nei secoli dei secoli! Amen.

 

Don Francesco Cristofaro

Nella stanza degli amici la grande famiglia del Cioccolato Todisco.

Oggi accolgo nella stanza degli amici “la bontà”. Non è uno scherzo. L’altro giorno assistevo ad una scena in casa. I miei nipotini più piccoli mangiavano del cioccolato e si divertivano perché avevano il nasino, le labbra e le manine tutte sporche di cioccolato. Un momento di spensieratezza, quella di cui tutti abbiamo bisogno ora più che mai.

Allora, ho pensato proprio a loro e li ho contattati per salutarli e avanzare loro una proposta. Posso dire di conoscere la famiglia Todisco ormai da un po’ di tempo. La prima volta che entrai nel loro laboratorio, oltre ad essere colpito da tutto quel cioccolato, fui catturato dai loro sorrisi e dai loro volti pieni di luce ed emozione. Una bella realtà a conduzione familiare. Ogni tanto, prima di questo incontro, ricevevo le loro foto. Per me era emozionante vedere come tutti, mentre svolgevano le loro mansioni, seguissero grazie ad uno schermo le mie catechesi, i momenti di preghiera, le trasmissioni in tv.

La F.lli Todisco s.r.l. è un’azienda sorta da una passione innata per il cioccolato, dopo un esperienza decennale nel fantastico mondo del cacao, spinti dalla voglia di creare cose nuove e dall’abilità di armonizzare antiche lavorazioni con creatività ed innovazione Salvatore e Vincenzo Todisco nel 1994, hanno dato inizio ad un azienda di produzione artigianale di cioccolato, che nel tempo si è affermata come una delle “Cioccolaterie” più conosciute ed apprezzate d’Italia.

Ciò che cattura l’attenzione è la cura che loro mettono nei dettagli, nelle decorazioni, nelle confezioni.

Lo sappiamo tutti, il cioccolato rende felici non solo i golosi ma il cioccolato può fare anche del bene, come in questo caso. La famiglia Todisco, vicinissima al Santuario e alla devozione mariana del Rosario di Pompei è stata sempre grata al Signore e a Maria per l’evolversi della loro attività e questo non li ha resi mai insensibili e indifferenti, soprattutto in questo momento molto difficile per tutti. Loro hanno scelto di beneficiare delle famiglie più indigenti grazie al loro cioccolato. Ma non è tutto. Anche noi possiamo aderire all’iniziativa. Ed ecco perché li ho contattati. Infatti, cliccando sul loro sito, si può consultare lo shop dell’azienda e decidere di regalare del cioccolato ad una famiglia, ad un vicino di casa, ad una casa di riposo o a chiunque si desideri o acquistarlo per se stessi per le feste di Natale o per ricorrenze varie. Ed ecco ciò che ho chiesto:  se presentate il mio nome avrete diritto a uno sconto del 10%. E’ un gesto di attenzione in più. Ecco, questo è il mio segno di gratitudine grazie alla Todisco Cioccolato ad una bella famiglia che mi vuole bene.

Per entrare nel sito e usufruire dell’offerta cliccate sull’immagine qui sotto. Mi raccomando, nell’ordine non dimenticare di scrivere come codice identificativo il mio nome DONFRANCESCO

 

 

Don Andrea Giorgetta: la fibrosi cistica e il suo ministero pieno di entusiasmo

Oggi è venuto a trovarmi nella stanza degli amici un giovanissimo sacerdote, Don Andrea Giorgetta, ordinato sacerdote lo scorso 8 giugno del 2019 nel Duomo di Como. La sua è davvero una storia molto bella.

 

“Predicate sempre il Vangelo e se fosse necessario anche con le parole” era la frase che san Francesco rivolgeva ai suoi frati e che don Andrea ha scelto per la sua ordinazione. « È una frase che mi piace molto – spiega – perché parla di una testimonianza diretta, visibile nei fatti. Mi piacerebbe nel mio ministero riuscire a parlare prima con i fatti, con i gesti e con lo sguardo, poi eventualmente, se fosse necessario, con le parole. È una indicazione – precisa – ma anche un augurio che faccio a me stesso, un punto fermo del mio essere uomo e del mio essere prete ». Il giovane sacerdote che ho incontrato nei giorni scorsi a Roma è uno di quei preti che svolgono il ministero convivendo con la malattia o come nel mio caso con la disabilità. È ci siamo ritrovati alla presentazione di un libro edito dalla Libreria Editrice Vaticana e scritto da Vittore De Carli, che parla appunto di noi: “Come seme che germoglia. Sacerdoti nella malattia” con la prefazione del Card. Angelo Comastri.

Fibrosi cistica. Una malattia genetica grave, subdola perché spesso nascosta, che colpisce maggiormente bronchi e polmoni, che ti limita molto, una malattia che si può curare, ma a oggi non guarire completamente. Don Andrea Giorgetta, giovane sacerdote di Chiavenna, diocesi di Como, l’ha scoperta quando aveva vent’anni. Fino ad allora la sua tosse, il suo respiro a volte affannoso erano stati attribuiti a una forma allergica e per questo curati con diversi farmaci che, tuttavia, non avevano portato l’effetto sperato.

Dopo un’infanzia normale (anche se la tosse era costantemente compagna di studio e di giochi), si diploma geometra e inizia a lavorare presso un’agenzia immobiliare. « Facevo una vita del tutto tranquilla, come tanti altri ragazzi della mia età – racconta. Amavo lo sci, le lunghe passeggiate in montagna e facevo anche atletica ». A 23 anni don Andrea entra in seminario accompagnato dalla sua malattia che lo costringe a lunghi periodi di assenza. « Durante il terzo anno di Teologia ho dovuto affrontare tre ricoveri in ospedale, con circa 90 giorni di assenza dal seminario e durante questo periodo sono stati fondamentali i miei amici e i miei compagni di scuola, che mi hanno aiutato tantissimo affinché potessi tenere il passo con gli studi ». Grazie alla sua forza di volontà don Andrea ce l’ha fatta a completare il percorso. Forza di volontà, ma anche tanta, tanta fede. « All’inizio ci sono stati, anche in seminario, dei momenti difficili. Avevo l’idea che non sarei riuscito a compiere pienamente quel cammino sacerdotale che vedevo svolgere e vivere da molti presbiteri. Avevo paura di diventare un “prete di serie B” e che non sarei mai riuscito a essere a disposizione della mia parrocchia a tempo pieno. Avevo paura che non sarei stato in grado di programmare le attività parrocchiali perché avrei potuto non essere presente, o di pensare e organizzare momenti e incontri e poi magari dovermi assentare per un ricovero in ospedale. Poi però è prevalsa la fiducia in una capacità che non è totalmente mia ». « Mi ero reso conto, anche grazie alle esperienze vissute, di quanto fosse importante la collaborazione con gli altri, sia con i consacrati sia con i laici. Ho vissuto molto questo aspetto: sacerdote sì, ma con la collaborazione di tutti. La fibrosi cistica è una malattia che non ti dà tregua e non va in vacanza: infatti devo fare controlli periodici, esami specifici e ricoveri annuali. In ogni caso, come dice un antico detto – “Fa quello che puoi con quello che hai, nel posto in cui sei”  ».

« Caro don Andrea, ricordati di essere stato scelto dal Signore senza alcun tuo merito particolare », ha detto il vescovo di Como Oscar Cantoni, durante l’ordinazione di don Giorgetta. E di questo, il giovane prete è più che consapevole. Perciò a don Andrea non piace presentarsi con la sua malattia, ma con la sua semplice persona. Anche se, osserva « molti preti mi ritengono, sotto certi aspetti, più fortunato di loro perché, essendo io malato, riesco a entrare in sintonia più facilmente con gli ammalati. Infatti spesso mi capita di essere contattato da diverse persone, sia affette da qualche malattia fisica sia per problemi spirituali, per avere un consiglio o una parola di conforto. Tra le persone ammalate, molto spesso la prima cosa che viene a cadere è la fede. Molti dicono: “Signore è colpa tua?”. Io sono del parere, invece, che il Signore non sceglie solo tra i sani, ma anche tra gli ammalati, e con loro fa grandi cose ».

« Ogni due mesi ho degli esami ospedalieri da fare per cui cerco sempre di non fissare delle scadenze nelle mie relazioni personali e interpersonali. Se devo incontrare qualcuno raramente gli fisso un appuntamento a distanza di una settimana, ma lo incontro subito perché non sono in grado di sapere cosa avrò da fare la settimana dopo e soprattutto se fisicamente starò bene nei giorni successivi. In ogni caso, però, è proprio la malattia che mi dà la forza per poter essere vicino alla gente. Questa mia incertezza, questo mio non poter programmare le mie giornate a lunga scadenza mi spingono a consolidare, ancora di più, i rapporti con le persone, a essere sempre più vicino alla gente ». Questo bisogno di stare con gli altri ha spinto don Andrea, prima del suo ingresso in seminario, a costituire un gruppo di volontari a sostegno delle persone affette da fibrosi cistica: « Quando ho scoperto la malattia mi sono buttato nella ricerca, volevo capire esattamente di cosa si trattasse. Sono così venuto a sapere che nella provincia di Sondrio c’erano diversi casi di persone affette da fibrosi cistica. Ho saputo che in Italia, a Verona, c’è la Fondazione per la ricerca sulla fibrosi cistica Onlus; mi sono messo in contatto con i responsabili e ho deciso di fondare un gruppo di volontari. In realtà, all’inizio, il gruppo era formato solo dai miei parenti e dagli amici più stretti, ma ora, a distanza di dieci anni, possiamo contare su un buon numero di associati che operano soprattutto nella zona in cui vivo ». Il gruppo si occupa di reperire i fondi necessari per la ricerca scientifica in vista di una possibile cura di questa patologia, organizzando eventi locali o attraverso la partecipazione ad appuntamenti fissi come, ad esempio, la Sagra dei Crotti o la rassegna di cori Un canto per la speranza. Non sempre la raccolta fondi va a buon fine, ma l’importante per don Andrea è perseverare: « Mi è capitato – ricorda – di andare in una cittadina con 200 ciclamini e tornare a casa con 190 piantine. Questo non mi ha affatto scoraggiato e durante il fine settimana, con amici e parenti, mi sono presentato, con i ciclamini avanzati, all’uscita delle Messe e nelle piazze dei paesi vicini al mio. Ebbene, alla fine ogni fiore aveva trovato la sua casa. Basta perseverare perché col tempo arrivano sempre risposte. Abbiamo iniziato la nostra missione nel 2010 offrendo 200 ciclamini, l’anno dopo ne abbiamo distribuiti 650, il successivo 1.300 e ora non scendiamo mai sotto i 1.500 vasi, cifre importanti per la nostra realtà ». “Perseverare”  e “avere fiducia” sono le parole d’ordine di don Andrea che, rivolgendosi ai ragazzi che scoprono di essere affetti da fibrosi cistica o da qualsiasi altra malattia grave, li invita a « non essere soli. A volte la malattia fa paura, ma a far più paura è la solitudine che affligge il malato nel suo cammino di speranza. In ospedale, l’ammalato è spesso da solo e da solo deve avere fiducia nel prossimo, in chi il Signore ha deciso di mettergli accanto in quei momenti».

Alessandro: A Medjugorie la Madonna mi ha fatto il regalo per il mio compleanno.

Oggi nella stanza degli amici do il benvenuto ad Alessandro e Nadia. Che coppia meravigliosa. Ve li voglio far proprio conoscere. Partiamo però da Alessandro.

«Mi chiamo Alessandro, abito in un  piccolo paesino del sud Italia nel caldo ed assolato  Salento». È una bella storia quella che state per leggere, una di quelle storie che ha il sapore dei Miracoli. Ho conosciuto Alessandro su instagram qualche tempo fa. Qualche saluto, qualche messaggio ma mai abbiamo approfondito la sua storia. Ero sicuro si trattasse di un ragazzo credente. Un giovane se non  ha la fede non sta lì a seguire un prete e a mettere i like ai suoi post. In questo periodo di Covid-19 mi trovo ogni giorno a fare dirette instagram per condividere momenti di quotidianità con chi mi segue, offrendo loro delle testimonianze. Decido di interpellare Alessandro e invitarlo ad una diretta. Lui accetta ma vuole prima raccontarmi la sua storia. Mentre mi racconta la sua storia, mi arriva sul cellulare un messaggino del Direttore di Miracoli che mi chiede se potevo preparargli un pezzo. Avevo tra le mani la storia giusta.

«Parlare della propria storia spirituale è sempre molto difficile – dice Alessandro –  ma spronato dal mio Caro amico e Sacerdote don Francesco  Cristofaro mi accingo a raccontare le numerose Dio incidenze ( le chiamo cosi le coincidenze Divine ) che mi hanno condotto a Maria».

Intanto, grazie caro Alex, così ti chiamo io, per annoverarmi tra i tuoi amici, lo sei anche tu per me. Anche io sono convinto come te che, spesso,  Dio scrive dritto anche sulle righe più storte , e la tua esistenza, sin da fanciullo è stata segnata da eventi spiacevoli ed inclini a trascinare l’essere umano su strade sbagliate e magari senza ritorno. Oggi noi non vogliamo descrivere le cose brutte della tua vita , ma vogliamo focalizzarci, invece, sulla bellezza della perfezione di Dio  nel fare grandissime cose nel modo più’ discreto e perfetto che possa esistere. Allora Alex lascio a te la penna per scrivere la tua storia. «Diciamo che il male esiste. Non è un concetto filosofico ma ci sono realtà ed intelligenze reali pronte a distruggere  e a dividere e  come esiste il male fisico , esiste il male spirituale  a cui purtroppo  molte persone ricorrono a danno di altre; Ma questo danno scagliatomi contro sin dalla più’ tenera età non ha prevalso sulla mia esistenza, anzi  forse è stata una grazia per avere più conoscenza e fede.

Il mio primo contatto con Medjugorie avvenne durante gli anni del militare – parlo degli anni 90. Ero stato assegnato a svolgere servizio presso l’ufficio postale in aeronautica militare , ero un aviere, conoscevo il cappellano militare , parroco molto scherzoso e di grande fede, il quale regolarmente ogni mattina passava dall’ufficio per un saluto e per ritirare la posta, per l’appunto era abbonato ad una rivista  dal nome all’epoca impronunciabile ” Medjugorie “. Questo giornalino mensilmente  arrivava, veniva ritirato dal cappellano militare e con mia sorpresa dopo qualche giorno riconsegnatomi dallo stesso cappellano che riportandomelo  mi incitava senza grandi paroloni a leggerlo. Ricordo ancora la sua espressione un po bruta  in dialetto Leccese  ”   Naa liggi ”  letteralmente tradotto ” Tieni  e leggi” , quindi passibile di un eventuale interrogazione da parte del mio pittoresco cappellano militare, iniziai a dare un occhiata a questo libricino. Tra le varie foto, una di un sperduta chiesa con due alti campanili  situata in mezzo alle vigne. C’erano riportate le varie storie di 6 veggenti e alcuni messaggi del 25 di ogni mese che la Madonna dettava durante le apparizioni. Leggendo quei messaggi sentivo uno strano ardore nel cuore , tanto che mi appassionai, ed ogni mese non vedevo l’ora che arrivasse questa umile rivista per  cibare lo spirito di cosi’ intense parole.   Medjugorie non sapevo nemmeno dove fosse  e  terminando  il mio anno di militare  tutto fu’ riportato nel dimenticatoio , ma nel cuore quei messaggi vivevano, erano una fiammella nascosta che albergava nel mio spirito in maniera molto silenziosa.

Il secondo contatto se cosi’ si può definire con il nome Medjugorie avvenne qualche anno più’ tardi  ed in modo  molto brutale , per l’appunto scoppio’ la guerra nell’ex Iugoslavia e con rammarico scoprì  che quel paesino dal nome impronunciabile  era proprio situato in quei luoghi devastati dai bombardamenti. Impulsivamente iniziai  a rovistare  nello scatolone dei ricordi della leva , dove mi pareva di aver conservato una copia di quella famosa rivista reperita durante il servizio  militare , la trovai, scrissi subito una lettera in redazione che si trovava a Torino e dopo qualche tempo iniziai a riceverla a casa. Medjugorie a quei tempi non era conosciuta come ora , e nel tempo, cresceva in me il desiderio di poterci andare un giorno ma non fu’ mai possibile . Trascorsero molti anni  e circa 5 anni fa il mio Padre spirituale mi disse improvvisamente : ” Alessandro  tu verrai a Medjugorie con me ” . Potete  immaginare la mia espressione. Una brutta voce interiore mi sussurrava ” Tu  non hai nulla a che fare con quei luoghi; non ci andrai”. Entrai in chiesa e nello sconforto  più totale guardai verso   l’altare dove campeggiava  una bella l’immagine di Maria. Nel cuore avvertì una altra  voce ma dolcissima , volendo spiegare a parole una tale soavità, dolcezza e sicurezza che traspirava da tali parole è impossibile , riporto solo quello che senti’ nel cuore, ma quelle parole risuonavano come una primavera in tutto il mio essere “Alessandro ad agosto tu sarai con me’ sulla collina delle apparizioni”.   Devo premettere che non c’era nulla di programmato ne’ date ne’ nulla di organizzato per andare nella terra di Maria, ma mi affidavo alle parole del mio  Padre spirituale Don Massimo  e tantissimo alle parole soavissime che per me erano di Maria.

Mi ritrovai ad agosto  sul pullman diretto a Medjugorie , ero incredulo , ripensavo ai tempi del militare, ero proprio diretto li, non ci credevo ma era tutto splendidamente reale.  Non avevo aspettative di poter vedere nulla. Volevo solo stare li e vedere quei luoghi cosi’ tanto desiderati e magari incrociare  un veggente, chi lo sa…  Arrivai a Medjugorie, un viaggio faticoso ma ricco di emozioni e come scorsi la sagoma della chiesa di  San Giacomo con quei due campanili,  l’emozione fu’ incredibile ma ero li’ finalmente.  Il  luogo era bello. Io amo la natura, i boschi, la pace  e posso dire che il paesaggio,  i luoghi erano come  li avevo sempre immaginati, ma Maria? Non sentivo nulla.

Due giorni trascorsero in quella terra di pace , ma appunto Maria’ ?  Niente. Mi son detto “devo avere fede, cosi’ vuole Dio e così  sarà”. Ricordo che alle dodici c’era la messa nel capannone giallo adiacente alla chiesa principale. Ci andai. C’era un dipinto grandissimo  che raffigurava  Maria a braccia aperte su una nuvola che sovrasta la chiesa di San Giacomo. Lo guardai e lo fissai , ed ad un tratto sentì una presenza viva, reale. Era la stessa presenza percepita in quelle dolci parole  mesi prima. Sentì dei passi veloci come di una donna che ti passa accanto, ti sfiora. Sentivo un velo che mi lambiva il volto come una carezza. Questo velo  lo sentì attraversare il cuore ma rimase come impigliato , ma questa presenza viva, soave continuava  a camminare ed ad un tratto sentì uno strattone , un botto  come se qualcosa si aprisse, un forte TAC. Sentì il cuore aprirsi, era Maria, era mia mamma. Ero tornato a casa.  Caddi  sulle ginocchia mi pare, perché  il turbinio sconvolgente di tale  presenza cosi intensa nel cuore mi annientava,  nel senso piu’ soave  e dolce che si possa immaginare.  Lacrime, tante lacrime , non piangevo da anni. Avevo il cuore di pietra, ora era un lago di lacrime e  di gioia. Nostra Madre Maria  li a Medjugorie l’ho sentita come la donna dai passi veloci, che  si affretta a soccorrere i suoi figli, proprio come dopo l’annunciazione che veloce si mette in cammino verso la regione montuosa per far visita alla cugina Elisabetta bisognosa di aiuto.

Il giorno dopo era il mio compleanno,   in programma era  prevista   la salita sulla collina delle apparizioni. Quella mattina appena raggiunto i piedi del Podbrdo, con mia grande sorpresa mi accorsi che stava li in procinto di iniziare il rosario il veggente  Ivan , scalai la collina accanto a lui , i misteri si susseguivano, raggiunti la statua della Madonnina posta sulla sommità della collina mi inginocchiai  e mi ricordai di quelle parole. ” Ad agosto sarai con me sulla collina delle apparizioni “. Che grande regalo di compleanno mi ha fatto Maria.

Massimiliano Ferragina, l’artista del sorriso e dei colori

Un nuovo amico fa ingresso a casa mia nella “stanza degli amici”. Benvenuto a Massimiliano Ferragina. Calabrese di origini come me ma ben presto trasferitosi a Roma dove si laurea in filosofia e teologia presso la Pontificia Università Gregoriana. La sua espressione artistica è influenzata notevolmente sia dal suo percorso accademico, sia da un viaggio di tre mesi in Sud America e da tre formative residenze d’artista a Parigi, Berlino e Copenaghen. Esordisce in Italia nel gennaio 2012, con il premio Open Art, presso le sale del Bramante a piazza del Popolo (RM). I suoi numerosi progetti artistici, hanno sempre un profondo ed introspettivo messaggio, in cui il mondo interiore  è protagonista e motore immobile. Oggi Massimiliano è un artista di fama mondiale. Gli sono stati riconosciuti numerosi premi, espone in tantissime città e gallerie. Alcune sue opere si trovano collocate nei musei. Di recente, un suo meraviglioso dipinto raffigurante la Trasfigurazione è stato benedetto dal Vescovo di Matera e si trova nel Museo della Diocesi.

Lo faccio accomodare e gli chiedo: che cos’è per te l’amicizia?

«L’amicizia è un dono! –  mi risponde – un dono che si vive nella relazione fraterna. Un dono col valore aggiunto della “gratuità”. E’ proprio questa la caratteristica che denota e connota il sentimento dell’amicizia. Si ama l’amico/a gratuitamente, senza pretendere nulla in cambio, non c’è unità di misura nello scambio tra amici. L’amicizia è incontro, accoglienza, fedeltà, sincerità, verità. Credo sia più nobile dell’amore in sé perché l’amicizia è sentimento puro, non finalizzato, senza scopi, obiettivi. Solo la gioia che nasce dall’esserci, dalla consapevolezza che l’altro c’è! L’amicizia è proprio questo per me, sapere che nella tua esistenza ne esiste un’altra che la partecipa, la vivifica, la valorizza, la sostiene, oltre tutti i limiti e confini che la vita può preservare».  Mi piace molto la tua risposta caro Massimiliano. La condivido.

Orgoglioso e fiero Massimiliano prende il tablet e apre il suo sito ferraginart.onweb.it e mi mostra gli ultimi lavori. Meravigliosi. I colori sono vivi e forti. Tutto parte da un mondo intimo e interiore. Massimiliano si lascia trasportare dalle sue emozioni. In ogni opera, se spegni per un attimo gli occhi del corpo e accendi quelli del cuore, riesci a vedere un filo che parte proprio dal cuore dell’artista ed è collegato al suo pennello e magari, un’opera che inizia in un modo poi termina in un altro, frutto di un percorso di emozioni. Non sono un critico d’arte ma semplicemente un amante del bello e questo ciò che io vedo nelle sue opere d’arte. I colori sono vivi e accesi, la tonalità è forte perché il messaggio che si vuole tramettere è potente ma quando esso diventa più delicato, spirituale,  i tratti diventano sottili e garbati come per stringerti in un abbraccio.

«I colori sono parte fondamentale della nostra vita, – mi racconta Massimiliano – condizionano le nostre scelte, e spesso orientano il nostro umore e stato d’animo. Sottovalutiamo la potenza dei colori sulle nostra percezione, sul nostro modo di comprendere le cose e i fatti che ci accadono. Ci sono colori che indicano emergenza pericolo e ci sono colori che indicano pace e serenità, sono degli strumenti potentissimi che possano renderci più o meno consapevoli di ciò che ci succede intorno».

I colori emozionano e parlano. E poi Massimiliano mi racconta della pittura emozionale biblica. Si tratta dell’unione, della commistione tra pittura emozionale e Bibbia. «Leggere alla luce delle emozioni dei personaggi il testo biblico e trasportarlo in pittura attraverso l’uso dei colori primari. Potremmo dire una forma di esegesi biblica col colore. Questo connubio pittura emozionale e Bibbia nasce dal desiderio di fondere la catechesi con la pittura. La pittura emozionale biblica trova fondamento nell’invito di papa Francesco che parla e auspica di vivere momenti di Chiesa in uscita fin dal suo inizio di pontificato “Chiesa in uscita è il passaggio da una pastorale di semplice conservazione ad una pastorale decisamente missionaria”. La pittura emozionale biblica è da considerarsi Chiesa in uscita perché attraverso la creatività, il laboratorio attivo, si fa esegesi, si fa conoscenza del testo narrativo, si fa meditazione, arte che conduce alla preghiera. La pittura diventa nuovo linguaggio per la conversione e per la mediazione dei contenuti della fede.

I Workshop di pittura emozionale sono dei corsi di pittura intensivi tra teoria e pratica, guidati dall’artista Massimiliano Ferragina. Lo scopo del workshop è quello di riconoscere le proprie emozioni ed imparare a trasmetterle sulla tela per tradurle in arte attraverso la potenza dei colori primari. Non serve saper disegnare o essere esperti di arti visive ma è necessario desiderare l’esplorazione delle proprie emozioni lasciandosi guidare alla loro visualizzazione attraverso la potenza dei colori essenzialmente primari. Il corso prevede quindi uno scambio tra l’artista e i partecipanti, una comunione artistica. Il risultato si traduce in una opera d’arte personale che ciascun partecipante porterà con sé». Mentre parliamo e sorseggiamo un te il nostro discorso sofferma l’attenzione sull’attuale situazione che stiamo vivendo. Conveniamo entrambi che c’è desiderio di normalità, di quotidianità, di speranza.  Ed ecco che Massimiliano mi dice: «Viviamo giorni inediti, nessuno di noi avrebbe mai immaginato che in un mondo evoluto come il nostro, fosse proprio un piccolo batterio a paralizzarci. Siamo disorientati perché messi al muro da un nemico invisibile, subdolo, inafferrabile, imprevedibile. Spaventati perché questo nemico convive con noi, cammina sulle nostre gambe, ci costringe a stare distanti, a rinunciare alla bellezza della prossimità. Ci impone di parlare di morte, di pensarla, di vederla. Eppure…eppure ci stiamo difendendo, lottiamo con la stupidità, la superficialità l’immaturità di alcuni, eppure ci stiamo difendendo, questa difesa, in fondo, ci dice quanto siamo amanti della vita, quanto siamo vivi e desiderosi di vivere. Ecco allora che il messaggio di speranza: sforziamo di essere portatori di vita per gli altri, per chi soffre, cerchiamo di inneggiare alla vita nonostante e comunque. DOBBIAMO FARLO TUTTI! Noi vivi, siamo obbligati a cantare la vita, a farci messaggeri per chi soffre, chi si ammala, chi vive un disagio, facciamoci “angeli” portatori di un messaggio vivo e vivente, testimoni di una luce che nessun virus può distruggere. Il messaggio è in sintesi la necessità di farsi Vita quando intorno la vita è minacciata. Serve la creatività del cuore in questo momento, la rinuncia all’odio, la spinta interiore a piccoli gesti di soccorso. Nelle cose piccole, come in quelle grandi, dalla mamma di famiglia, al rappresentante politico, dall’insegnante al dirigente d’azienda, dal medico al rider. Amare la vita nonostante tutto è l’unico messaggio capace di annientare l’imperante cultura della morte che in questo tempo di pandemia si è con-fusa con la morte stessa. La vita è più forte e vince sempre, se la si ama».

Sono contento di avervi fatto conoscere il mio amico Massimiliano Ferragina. Sono sicuro che diventerà anche il vostro amico.

 

Safiria Leccese e la Ricchezza del bene

Protagonista  della Stanza degli Amici di oggi è una cara amica, Safiria Leccese. Giornalista, conduttrice Tv, scrittrice. Volto amato dal pubblico e che personalmente stimo tantissimo. Da qualche mese è uscito il suo nuovo libro edito da Terra Santa dal titolo: “La ricchezza del bene. Storie di imprenditori fra anima e business”. Le ho rivolto qualche domanda. Intanto, vi invito a seguirla anche sui suoi canali social facebook e instagram.

  1. Come nasce questo progetto e a chi è rivolto questo tuo nuovo lavoro?

Si un nuovo libro che, a dire il vero, non pensavo proprio di scrivere, l’ho scritto in velocita’ andando in ogni azienda parlando con i fondatori o i presidenti, uomini e donne che guidano oggi queste imprese, su e giu’ per l’Italia e ora ne sono felice. E’ un progetto che mi sta molto a cuore perche’ ha a che vedere non solo con una bellezza ma proprio con una visione del mondo che mi appartiene profondamente e cioe’ quella basata sull’interconnessione, su una sorta di appartenenza per cui cio’ che succede agli altri, ci riguarda. Come noi e gli altri trattiamo le persone ha una conseguenza sul resto. E’ una visione semplice, persino lampante, eppure i fatti che accadono, spesso ci raccontano che il mondo va da un’altra parte. E’ un’evidenza che su questa terra siamo insieme, nel senso piu’ profondo del termine, accomunati innanzitutto proprio dai nostri limiti. Non ci diamo la vita e non decidiamo noi la fine. Quindi mi sta davvero a cuore e ti ringrazio di parlarne insieme perche’ si tratta innanzitutto di questo, di promuovere questo modo di vedere le cose, la vita vorrei dire. E dietro queste aziende ci sono persone che hanno questa visione.

Da giornalista rimuginavo da tempo con questa domanda per la testa: come mai e’ difficile raccontare il bene? Come mai e’ ancora piu’ difficile farlo senza scadere in buonismi, moralismi, tutte cose che tra l’altro non mi piacciono perche’ sanno di forma e non di sostanza. E mi dicevo come mai e’ cosi difficile associare il Bene alla Bellezza? Ecco con questa domanda me ne sono andata in giro: tra mille incontri dovuti al mio lavoro di giornalista parlamentare, tante presentazioni dello scorso libro, eventi. Sono stata chiamata a condurre il “premio agli imprenditori per il Bene comune”, nell’ambito del festival della dottrina sociale, voluto da mons. Adriano Vincenzi. Ecco al premio che ho condotto per due edizioni ho incontrato imprenditori che incarnavano proprio questo: imprese di successo, con bei numeri, in alcuni casi grandi numeri, ma ottenuti mettendo la persona al centro in tutti i sensi. Da chi lavora con loro ai clienti fino a gesti di gratuita’ verso la collettivita’. Ma la cosa non si e’ fermata li perche’ in pochi giorni con Adriano Tomba, che ringrazio, abbiamo verificato una fattibilita’ di mettere insieme alcune storie dei premiati. Ma poi come sempre la vita fa molto, e cosi alcune imprese sono state prese da li e altre invece dal mio percorso lavorativo, quindi diciamo da una sfera di relazioni personali. Tutti accomunati da un business con l’anima.

  1. Dieci storie in questo libro. Ci aiuti a conoscere i protagonisti?

E’ un privilegio enorme poter raccontare le storie. Di qualsiasi natura siano, perche’ comunque nel racconto vengono svelati e condivisi pezzi di vita. E ne ho avuto conferma proprio da questi dieci protagonisti. Per me loro ora non sono aziende ma nomi , volti, storie appunto, di quasi tutti loro ho conosciuto anche i rispettivi compagni e compagne di vita. Di diversi di loro oltre che in azienda sono stata in casa. E’ stato molto bello. I protagonisti sono Giorgio Campagnolo, della fratelli Campagnolo leader nella produzione di  abbigliamento sportivo, con una storia meravigliosa che parte dall’albo dei poveri e va a finire a questa grande azienda che come donazione costruisce ospedali di Guinea Zambia e Uganda. C’e’ la leader mondiale Ferrero spa, che il nome dalla Nutella in poi dice tutto. Di cui ho scoperto un mondo incredibile di aiuti che danno con la Fondazione Pietro, Piera e Giovanni Ferrero. Un motto che parla per loro “lavorare creare donare”. Il fondatore Michele che e’ morto pochi anni fa, un uomo straordinario creativo capace di creare rapporti all’interno dell’azienda, che ho constatato ancora con i miei occhi,  cosi veri che quando c’e’ stata l’alluvione i dipendenti sono andati prima a spalare l’azienda e poi le loro case La Pedrollo spa fondata da Silvano Pedrollo, che la guida insieme ai suoi figli. E’ stato commovente in questa azienda tanto per dire da oltre 250 milioni di euro di fatturato annuo e mille dipendenti a busta paga, grande 120.000 mq. E’ stato commovente vedere esposte le gigantografie di bambini di tutte le razze: sono quelli a cui e’ arrivata l’acqua in forma gratuita. Parliamo di 2 milioni di persone nel mondo grazie a Silvano e alle sue pompe idrauliche.

C’e’ la BB Group di Marco Bartoletti che costruisce accessori di lusso per i più grandi marchi mondiali (che per loro policy non possiamo nominare) quelli che tutti conoscono , e lo fa assumendo persone disabili e anche ammalate. Anche li come non emozionarsi di fronte ad una efficientissima responsabile della logistica in sedia a rotelle. La Branca Internazional Spa guidata da Niccolo’ Branca con questo stabilimento nel cuore di Milano che sembra una cartolina del secolo scorso con migliaia di metri quadrati di distilleria con un’attenzione specialissima alle persone, dovute anche al percorso personale compiuto dallo stesso Niccolo’, un imprenditore  illuminato e consapevole che si occupa anche di aiutare la sanita’ e lo sta facendo anche ora con la fondazione “L’Italia chiamo’”. La Mediterranea spa guidata da Paola Gurrieri insieme con i suoi fratelli, che nel ragusano a Vittoria produce crisantemi a ciclo continuo, nata grazie  una brillante intuizione di suo padre Salvatore e che oggi e’ leader del suo settore in Europa. Ha dipendenti di ogni nazionalita’. Ha fatto costruire gli alloggi che da gratuitamente per i suoi dipendenti stranieri e ogni mese consegna di persona le buste paga. Perche’ tutte le persone che lavorano li possano vedere un volto scambiare un sorriso e non solo ricevere un pezzo di carta. La conosciutissima banca Mediolanum fondata da Ennio Doris, oggi guidata da lui insieme al figlio Massimo. Si puo’ essere tentati di pensare che c’e’ entra una banca con il bene comune e invece c’entra nel caso loro. Perché Doris tutto quello che ha costruito lo ha fatto a partire dalle relazioni. E vorrei dire intanto a partire proprio dall’appoggio incondizionato di sua moglie con cui sono partiti senza nulla. Forse pochi sanno che lui era poverissimo…oggi si considera un medico del risparmio, guida migliaia di dipendenti e banker ma non ha tenuto la ricchezza per se. Sua figlia Sara, mamma di cinque figli, guida la Fondazione Mediolanum che ha aiutato migliaia di bambini nel mondo con i progetti piu’ disparati:dalle scuole ai macchinari sanitari.

C’e’Thun spa con il suo mondo fiabesco leader degli oggetti da regalo che oggi con la fondazione intitolata alla sua fondatrice, la contessa Lene Thun, artista dalla creativita’ fuori dal comune, ha dato vita ai laboratori per i bambini che si trovano nei reparti di oncologia pediatrica dei maggiori ospedali italiani. C’e’ Stella Maris una struttura ospedaliera unica in Italia ad occuparsi di tutte le patologie neurologiche per bambini e ragazzi dai 10 ai 18 anni. Giuliano Maffei, il presidente, ci ha condotto in un giro sorprendente fatto di piccoli pazienti messi in una specie di giovo che invece e’ una culla inventata da loro con 200 sensori per curarli, fino ai pesciolini usati per la ricerca nella sindrome dell’epilessia. E poi l’ultima che e’ un caso a se stante: Carlo Acutis! Non e’ un imprenditore, come si sa e’ un ragazzino morto a 15 anni, beato dallo scorso 10 ottobre. Un giovane ricco che pero’ ha messo Dio e i fratelli al primo posto e ha usato il denaro per condividerlo. Ho voluto a tutti i costi chiudere con lui perche’ ha da dire molto alla nostra soiceta’ e ai nostri giovani su quali sono i fini e quali sono i mezzi e a non prendere gli uni per gli altri.

  1. Al termine di un lungo lavoro di ricerca dove hai potuto vedere con i tuoi occhi le realtà che hai raccontato, cosa hai tenuto per te come insegnamento personale?

Il piu’ bello: che e’ possibile fare cose, persino imprese che sfondano il tetto dei fatturati mondiali, in un “modo” che fa la differenza. Senza calpestare le persone, ma al contrario valorizzandole. Nel lavoro come nella vita privata. Anzi da loro mi porto anche nel cuore di avere incontrato persone integre: perche’ non puoi essere a casa in un modo e al lavoro in un altro. Sei quello che sei. E che quindi qualsiasi cosa si fa cio’ che davvero conta non e’ il cosa ma il “come”. E’ il come che racconta di noi. E non il cosa.

  1. La ricchezza del bene. In che senso il bene promuove ricchezza?

Questo e’ un concetto che puo’ essere letto in due modi ed e’ un titolo che mi e’ venuto spontaneo e altrettanto spontaneamente e’ stato accettato dalla casa editrice. Il bene promuove ricchezza, perche’ molti di questi imprenditori si sono ritrovati a fare del bene senza calcolo e da quello sono nati rapporti che hanno portato anche lavoro. Ma la prima ricchezza che produce il bene e’ quella immateriale, oserei dire spirituale.  Poi piu’ facilmente si comprende letto al contrario: la ricchezza puo’ essere usata per il bene. Ed e’ quello che testimoniano le 250 pagine del libro.

Vorresti lasciare un messaggio di speranza ai nostri lettori in questo tempo molto delicato che stiamo vivendo?

Assolutamente si. Intanto il primo arriva proprio da alcuni di questi imprenditori che in questa emergenza che stiamo vivendo hanno fatto donazioni e hanno lanciato raccolte fondi. Quindi e’ una speranza e per me pure una conferma. Piu’ strettamente legato a questo tempo, credo che la speranza stia in ciascuno e in tutti: di riuscire  a cogliere luci anche piccole, anche quotidiane in questo tunnel che attraversiamo. Un’ultima cosa pero’ vorrei dire: abbiamo speranza, fiducia, ma abbiamo anche consapevolezza, perche’ questo virus ci sta insegnando molto: terremotando tutte le nostre certezze ci sta insegnando una sorta di precarieta’ umile. Dove si fa un passetto la volta se e quando si puo’. Non solo si corre dietro ai nostri , a volte testardi obiettivi. La vera speranza la riassumerei cosi: ne usciremo ma impegniamoci ad uscirne profondamente migliorati.